1. La supplica del re bicromatico
    Minato Sakurai, "dentro lo specchio"

    AvatarBy Hidden~ il 16 June 2017
     
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    Da lì sopra la vista era da perdere il fiato: centinaia di persone passeggiavano, visitavano chioschi e negozi, mangiavano, chiacchieravano, ridevano. A nessuno importava che quella cittadina fosse improbabilmente uscita da un libro di storia nipponica, o che i colori predominanti fossero freddi e surreali, come se un bambino avesse colorato strade e edifici con pastelli azzurri. Perfino le lanterne erano color cielo, eppure nonostante tutto la luce che emanavano era calda e rilassante.
    Anche l'edificio su cui si trovava era molto particolare: un colossale castello giapponese in pregiato legno chiaro con le tegole blu, le decorazioni azzurre e un'immensa terrazza da cui era possibile vedere tutto, ogni strada, ogni vicolo, ogni angolo, fin dove gli occhi riuscivano ad arrivare e anche oltre. Quel luogo era bello come un sogno, e proprio per questo Minato era lì, appoggiato sul parapetto con lo sguardo perso.
    Tutte quelle persone erano sognatori. Si trattava perlopiù di umani, ma raramente saltava fuori qualche ibrido qui e lì. Niente angeli, niente demoni. Nessuna sorpresa se quel posto rimaneva così pacifico. Era arrivato lì per caso, ma adesso voleva saperne di più: non aveva mai visto niente del genere e nonostante il clima tranquillo sapeva che qualunque cosa capace di interagire con altri esseri viventi nella dimensione onirica rischiava di nascondere qualcosa di pericoloso. Il lavoro chiamava anche in quel momento, quando l'unica cosa che avrebbe voluto fare Minato sarebbe stata scendere in strada e divorare dango fino a soffocare. Perché quel giorno aveva voglia di dango.
    «Mi scuso per l'attesa.» Il ragazzo reagì lentamente alla voce sconosciuta proveniente da dietro di lui, muovendo lentamente la testa, per poi girarsi quando scorse una figura con la coda dell'occhio. «Non siamo abituati ad avere ospiti così all'improvviso.»
    Non era solo: il suo misterioso interlocutore aveva compagnia. A sinistra c'era un uomo, pantaloni scuri, giacca bianca e una cravatta azzurra su una camicia grigia, i capelli lunghi racchiusi dentro un grande cappellino da notte blu. Dietro di lui faceva capolino una lunga e vivace coda bianca, sulla cui punta c'era un folto ciuffo di pelo nero. La sua partner indossava una gonna bianca e una giacca blu, con lunghi e mossi capelli argentei che cadevano sulle spalle e lunghe e accartocciate orecchie da coniglio coperte da una peluria piuttosto lunga e fitta, dettaglio che, unito ai lineamenti facciali particolarmente familiari, gli davano l'impressione di averla già vista da qualche parte. Portavano lui una grossa teiera di porcellana, lei un vassoio con delle tazze e un paio di scatoline. Entrambi, inoltre, gli davano sensazioni strane: il primo, che quella non fosse una sua proiezione, bensì il suo vero corpo; la seconda, che sedesse su un finissimo filo tra vita e morte. Entrambi demoni: sembravano pacifici, ma vista la situazione prendere un the con qualcuno che molto probabilmente era un nemico era l'ultima delle sue aspirazioni. «Non mi aspettavo di trovare qualcuno qui.»
    «Ma è ospite da noi. Prego, si accomodi.» Indicò con la mano un piccolo tavolino tondo con due sedie. Lasciò che la donna posasse il vassoio al centro per avvicinarsi e posare la teiera. «Grazie per l'aiuto, Yuki. Puoi lasciarci soli?» Rispose con un cenno, per poi girarsi verso Minato e congedarsi con un piccolo inchino in avanti. Poté guardarla bene in faccia in quel momento, non solo confermando la sensazione avuta prima, ma notando che i suoi occhi erano di un rosso accesissimo e che la pupilla al centro, una spaccatura verticale tipica di quel tipo di demone, non era il solito del colore nero, bensì splendeva di un bianco acceso.
    Quando rientrò nel castello, l'uomo riprense la parola, versando del the verde nelle due tazzine. «Mi sorprendo sempre di come, dopo secoli, sia ancora legato a quella donna. Le devo tutto, in fondo.» Porse a Minato la bevanda, per poi aprire le scatoline e rivelarne il contenuto: dango, di un po' tutte le varietà, affiancati da un paio di grossi stecchini. «Ma non ci siamo ancora presentati. Sono Ayumu.»
    «Capitano Sakurai Minato.» La risposta arrivò decisa, mettendo immediatamente in chiaro il proprio ruolo e, conseguentemente, anche la propria fazione. Il demone mostrò sorpresa, per poi manifestare evidente delusione. «Ah...» Prese tra le mani uno stecco e infilzò un dango immerso nella salsa di soia, ruotandolo con un'espressione vagamente preoccupata. «Il ragazzo chiama già altri sognatori, a quanto pare.»
    «Come?»
    «Giusto, giusto. Suppongo si starà chiedendo perché ci sono tutti questi sognatori da queste parti; spero solo non abbia problemi ad ascoltare una storia.»
    "Oh, no. Adesso mi racconterà tutta la sua vita." Quello fu il primissimo pensiero nella mente del giovane yumemi, intento ad osservare le scatole aperte piene di dolci. Si lasciò scappare un sospiro prima di fare un cenno con la testa e afferrare una delle scatole e relativo stecco. Quantomeno poteva annoiarsi con lo stomaco pieno, anche se un pasto nel mondo dei sogni non era esattamente come un vero pasto.
    Il demone posò lo stecco e incrociò le mani. Si prese un attimo di silenzio: dopotutto doveva riassumere ad un ragazzino secoli di storia e a lui interessava solo che passassero poche nozioni, sufficienti a far dissipare nel Watcher l'eventuale idea di andare in quel posto e distruggerlo pezzo pezzo.
    «Vede, creai questo sogno molto tempo fa. Qualche secolo, all'incirca. Al tempo ero ancora un giovane spirito, ma già da allora facevo i conti con l'eredità di famiglia e con le dure leggi di Albia.
    Gli yookai difficilmente sopravvivono nelle loro prime fasi di vita, ma noi baku siamo casi ancora più complicati: non possiamo nutrirci come i nostri simili, ma solo tramite la dimensione onirica. Sono i sogni che ci alimentano. Il modo più diretto e meno dispendioso è quello di divorare quelli altrui: ne troviamo qualcuno e lo consumiamo. Peccato che ai sogni sia legata anche l'anima e che inevitabilmente se ne perdano frammenti quando si subisce un'estrazione tanto aggressiva, al punto da privare totalmente del sonno qualcuno e conseguentemente instradarlo verso la follia. Furono i miei familiari a farmi scoprire questo lato inquietante del nostro essere. Ebbi una pesante discussione con loro e persi il diritto di usare e tramandare il nome di famiglia, oltre a venir cacciato di casa.
    Dopo giorni a digiuno incontrai una persona, un tengu con ali nere come la notte, ma con una lunga coda bianca. Mi trovò morente in mezzo al nulla; al che si prese cura di me e mi propose di creare un sogno per me e per lei, con la promessa di visitarlo ogni notte. Dubitavo fosse in qualche modo d'aiuto, ma per ringraziarla soddisfai la sua richiesta, scoprendo che, in qualche modo, la cosa mi teneva in vita.
    «All'inizio non c'era molto: le mie energie erano poche e lo spazio che potevo sostenere era decisamente poco. Se si sa dove cercare è facile trovarlo, perché esiste ancora: è un chioschetto dove viene servito un particolare ramen in agrodolce.
    Trascorremmo insieme molti anni. Imparai a conoscerla bene: scoprii che era appassionata di miti e leggende, che era affascinata dagli umani e dai racconti che tramandavano. Legammo molto insieme e lei finì per passare sempre più tempo qui dentro, sempre di più, finché non morì. Allora la sua anima si divise in due: una era un'informe massa densa di ricordi che vagava in questa dimensione; l'altra era la sua forma fisica, stravolta al punto da farla assomigliare ad un coniglio di giada, come quelli che si racconta passino il tempo sulla luna a pestare mochi col martello.
    Ero disperato: avevo rinunciato a tutto pur di non dover strappare vite con il mio potere e alla fine avevo distrutto l'unica persona a cui mi ero realmente avvicinato. Ero convinto di aver creato una trappola mortale. Stavo per distruggerla, ma altri sognatori arrivarono chiamati inconsciamente da quel coniglio. Spiriti tormentati simili a lei. Umani, non demoni, perché nessuno ad Albia era come lei e nessuno avrebbe apprezzato quel posto quanto lei tra i suoi simili.
    Li osservai per un po'. La loro presenza mi faceva stare bene e loro continuavano a tornare. Erano pochi, forse due o tre, ma solo uno di loro sviluppò quell'attaccamento morboso che avevo ritrovato nella donna che avevo amato. Lui subì lo stesso destino, ma gli altri semplicemente continuarono a farmi visita regolarmente ogni notte, senza soccombere a quella che credevo essere una trappola.
    Allo stesso tempo crebbe il numero di visitatori, così come il sogno stesso. Capii allora che i sognatori passeggeri rinunciavano al proprio sogno per venire nel mio, nutrendomi senza subire danni, ma che coloro che diventavano conigli semplicemente sceglievano, sia inconsciamente che non, di dare anima e corpo per questo posto, concedendo non solo la propria vita, ma la loro intera esistenza per far sì che crescesse e potesse popolarsi di più, richiamando tutte quelle anime tormentate che dal sonno non desideravano altro che serenità.»
    Sorseggiò il proprio the, mentre Minato continuava a mangiare i dolci. Si stava annoiando, ma la storia aveva spiegato qualche particolare strano, come il motivo per cui aveva avuto quelle strane sensazioni riguardo quei due. Ricollegò anche la figura del demone incontrato prima con quella del tengu del racconto, comprendendo perché avesse quella strana lettura da parte sua: non era più un essere vivente a tutti gli effetti, ma solo un'anima legata a quel luogo. Uno spettro, appunto. Evitò, però, di parlare: era chiaro che Ayumu non avesse finito e avesse altro da dire. Dopotutto c'era ancora qualche quesito rimasto in sospeso.
    «Questo per quanto riguarda questo posto. So che può sembrare spaventoso, ma le assicuro che niente qui è fatto per intrappolare nessuno. Niente viene sottratto, ma semplicemente ci viene offerto.. Per questo vorrei chiederle di permettermi di lasciare che le cose vadano come sono finora. Per quanto riguarda, invece, il nostro fortuito incontro...
    «Ho conosciuto poco tempo fa un altro tengu. All'inizio non volevo credere ai miei occhi, era quasi identico a Yuki, e poco dopo scoprii che faceva parte della sua famiglia. Aveva molto di suo padre, che a sua volta aveva molto di sua madre. Si chiama Shadz. Credo tu abbia presente il nome.»
    Minato si irrigidì per un momento. Improvvisamente ricordò perché aveva in testa i dango quando era andato a dormire: perché accanto a lui c'era la lettera che Shadz aveva fatto consegnare tramite la sua amica e aveva aperto la scatola, che, per l'appunto, conteneva i dolcetti di riso. «Fierybolt-san... Certo.»
    «Uh...» Ayumu lo guardò con uno sguardo interrogativo. «Il suo nome di famiglia è Ikeda, è un ibrido. A guardarlo sembra un lupo.»
    «Sì, proprio lui. Non lo sento da un po' ormai.» Era convinto il suo cognome fosse Fierybolt, o almeno così era sempre risultato nella documentazione. Trattandosi, poi, di un ibrido piuttosto unico nel suo genere con un nome tanto particolare era abbastanza sicuro che oltre al cognome i due si stessero riferendo alla stessa persone.
    «Sembra che tutta la sua famiglia finisca qui prima o poi. Lui è arrivato qualche tempo fa e abbiamo sviluppato un bel rapporto, ma ultimamente è stato soggetto a parecchia tensione ed era particolarmente tormentato. Ho motivo di credere che stia cedendo anche lui e, detto sinceramente, vorrei evitare che un altro membro della famiglia di Yuki finisca qui. Può non sembrare, ma il destino dei conigli di giada è anche peggiore di quello degli abitanti eterni di Albia: a loro rimangono solo frammenti di quel che erano e vivono solo per mandare avanti questo posto.» Prese a guardarsi le mani, agitando la coda a destra e a sinistra a lunghi intervalli con scatti veloci. «Mi ha parlato di lei e sono piuttosto convinto che l'abbia chiamata senza volerlo, ma se è vero vuol dire che potrebbe diventare un coniglio anche lui a breve. Mi chiedevo se potesse parlarci e convincerlo a rimanere nel mondo reale.»
    Il capitano rimuginò per un istante. Non sentiva Shadz da molto e le poche informazioni che aveva su di lui sembravano suggerire che stesse offrendo i propri servigi all'overlord, nella fazione opposta alla sua. Da quando si era allontanato da Kyoto, poi, non era semplice rintracciarlo e non aveva realmente tempo per andarlo a cercare senza una buona ragione. «E' così importante? Da quel che ho capito finché rimane in vita non può accadergli nulla, o sbaglio?»
    Il baku si incupì notevolmente: non guardava più le sue mani, bensì era arrivato con il mento sul petto, fissando la sedia. «Ecco... Yuki nell'ultimo periodo si era trascurata parecchio. All'inizio era solo un po' avventata, ma poi prese a trascurarsi sempre di più. Alla fine si suicidò soffocandosi nel sonno pur di rimanere qui.» Tornò con gli occhi sul tavolo, ma solo per rivolgerli al suo bicchiere, che adesso era avvolto nella sua mano destra, roteando in senso orario e creando un piccolo mulinello al suo interno. «Si finisce per confondere sogno e realtà, al punto che anche l'anima non sa più dov'è il confine. So che perfino il corpo viene leggermente stravolto quando succede: capelli che si ingrigiscono, occhi dal colore strano, cose del genere. So che nel suo caso sono sintomi difficili da notare, ma ha visto com'è Yuki e se Shadz dovesse iniziare a somigliarle più di quanto non faccia normalmente probabilmente inizierà a fare cose avventate o particolarmente stupide, finché non finirà per fare quel passo.»
    Era una sensazione strana quella che il capitano aveva addosso, quella stessa sensazione che si ha quando si riceve una notizia particolarmente sgradevole o triste. Non sapeva neanche perché, non erano così legati dopotutto, ma l'idea che potesse morire e finire condannato in quella dimensione per l'eternità lo metteva a disagio. Svuotò il proprio bicchiere e allontanò la scatolina da sé: ormai aveva perso l'appetito. Voleva semplicemente andarsene.
    «Se avrò occasione ci parlerò. E' difficile, ma vedrò di ricordarmene.» Il suo tono era ancora serio, ma aveva perso un po' di quella determinazione che aveva mostrato all'inizio. «Per quanto riguarda la richiesta di lasciare che le cose vadano come sono ora, voglio accertarmi di persona che non ci sia effettivamente niente sotto. Assegnerò qualcuno dei Fukashi a questo posto nello specifico per controllare che non accada niente di spiacevole e mi accetterò di persona che mantengano i piedi per terra.»
    Ayumu annuì, con un mezzo sorriso. «Grazie.»
    «Non mi ringrazi. Ne riparleremo quando avrò appurato che sia tutto in ordine.»
    Entrambi si alzarono. Il baku offrì la mano e Minato la strinse, per poi osservare il demone fare un piccolo inchino in segno di congedo. «Quando vuole tornare siamo sempre qui. A me e Yuki fa sempre piacere avere ospiti e poi può essere anche un'occasione per mettersi in contatto con Shadz, se dovesse servire e se dovesse trovarlo.»
    «Lo terrò a mente.» Il capitano fece un inchino a sua volta. «Grazie per il pasto.»
    Doveva svegliarsi: per il momento dormire non era la miglior cosa da fare. Si sarebbe alzato, avrebbe riordinato i pensieri, magari rileggendo la lettera mentre finiva il contenuto della scatola. "Forse dovrei parlarne con Haru. E' più bravo di me in queste cose."

    Quando sparì, Ayumu fissò le scatoline per un attimo. Dango. Aveva tardato per quelli: sospettava da subito che quello fosse il ragazzo di cui parlava Shadz, ma fino all'ultimo aveva pregato si trattasse di qualcun altro; se invece ci avesse visto giusto i dolci avrebbero dovuto stuzzicare la memoria del capitano, nella speranza che l'idea che il giovane lupo aveva di lui fosse giusta. Dopotutto era stato lui a dirgli del regalo e se era arrivato sicuramente doveva essere da qualche parte nella sua mente.
    Frugò nella tasca della giacca, trovando una densa bolla violacea al suo interno. Erano ricordi: tutti i conigli li perdevano e lui li conservava gelosamente in una stanza del castello; solo quelli di Yuki non lo abbandonavano mai, nella speranza che, un giorno, potesse trovare un modo di restituirglieli e poterla riavere indietro, almeno in quel posto.
    "Se solo fossi un dio potrei riportarla da me. Farle vedere che meravigliosa eredità si è lasciata alle spalle. Potrei concedere una felice vita eterna alla sua stirpe e vivere felici sotto questo tetto.
    Dovrei essere un dio in questo posto, ma il destino continua a farsi beffe di me. Se solo avessi accettato da subito quel che sono..."
    «È tutto in ordine?» Era Yuki, appena tornata in terrazza.
    "Forse non l'avrei nemmeno conosciuta."
    «Sì. Non preoccuparti.» Rimise in tasca quella sua preziosa reliquia. «Ho voglia di mangiare una scodella di ramen. Mi accompagni?» Sapeva che Shadz li avrebbe raggiunti anche quella notte.
    Eppure ancora sperava non lo facesse.

    Edited by Hidden~ - 10/7/2017, 17:48
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